Gabriella Buontempo

Per me il premio Malaparte è una storia d’amore. In primis per mia zia Graziella, donna formidabile e presenza fondamentale nella mia vita. Fin da quando ero piccola la vedevo muoversi nel mondo dell’arte e della cultura con la leggerezza che tutti le riconoscevano, a suo agio con chiunque – premi Nobel o artisti coronati, ministri o industriali – sempre capace di infondere il suo tocco e dare la sua impronta. Avevo il privilegio di seguirla in molte di queste sue avventure artistiche, e in ogni occasione l’amore naturale per la zia si fondeva con l’ammirazione per questa inimitabile forza di vita. Poi c’è Capri. Anche in questo caso, l’amore è il sentimento più immediato che posso evocare. Certo, è quello per la bellezza di quest’isola, talmente struggente da non dover neppure essere ricordata; ma, per una napoletana che ha avuto la fortuna di poterci venire fi n da bambina, è anche e soprattutto l’amore per le vacanze dell’infanzia, con i loro piaceri, i sapori, gli odori, i rumori, le voci e gli accenti, tutti elementi inconfondibili, madeleines che vivono nascosti in me nella vita quotidiana e si ripresentano intatti ogni volta che rimetto piede sull’isola. E ancora, la lettura; un piacere assoluto che, anche in questo caso, mi accompagna da quando ho i primi ricordi. E che, con il tempo e l’età adulta si è trasformata in passione, pura e disincantata, ogni volta che ho avuto la possibilità di stare a contatto con gli autori, respirare dalle loro parole vive il senso ultimo dei loro romanzi e racconti.

Il premio Malaparte è ripartito nel 2012; oggi, dopo cinque edizioni con tante soddisfazioni, credo che sia facile spiegarle come l’esito virtuoso dell’incrocio di tutte queste passioni. Ma quando ho avuto la prima idea il premio mancava ormai da più di dieci anni, e la sua memoria era persa nel flusso dei ricordi; farlo ripartire con nuovo impulso pareva un sogno, e il risultato tutt’ altro che evidente. Sono stata fortunata a trovare subito sulla mia strada tante persone disposte a sognare insieme a me; il primo, Dudù La Capria, che – appena gli ho parlato – non ha avuto il minimo dubbio a riprendere quell’avventura ormai lontana, mosso da amori simili ai miei. Con lui i giurati, da quelli iniziali – Giordano Bruno Guerri, Pinotto Merlino, Giovanni Russo e Marina Valensise – a Emanuele Trevi e Leonardo Colombati, che si sono uniti strada facendo. Poi Carlo e Michele Pontecorvo con la loro Ferrarelle, compagni di viaggio generosi e partecipi, capaci di credere all’avventura quando ancora era fatta solo di parole e intenzioni. Non posso nominare tutti coloro che, all’interno delle istituzioni capresi, hanno aiutato al buon esito della ripresa del Premio; sono molti, perché queste vicende hanno bisogno di un largo consenso. La conclusione va obbligatoriamente agli autori premiati: donne e uomini diversi per età, provenienza, background e idea di letteratura; eppure tutti felici di aderire al proposito di inserire la scrittura nella vita, dedicandoci non solo le loro parole, ma il piacere della loro amicizia. Di questo sono personalmente molto grata a tutti loro; e sono certa che lo è anche la zia Graziella, ovunque si trovi ora.

Michele Pontecorvo Ricciardi

Responsabile comunicazione e CSR Ferrarelle S.p.A.

La bellezza porta sempre con sé un velo di follia, e folli sono alcuni tra i più bei ricordi di questo primo lustro del rinnovato Premio Malaparte che ho avuto il privilegio e l’onore di accompagnare. Ricordo Carrère tuffarsi impavido dal mio motoscafo per nuotare nella Grotta Azzurra, in una di quelle belle giornate di ponente forte in cui non si dovrebbe neppure uscire dal porto; ricordo Barnes che bevendo vino ci racconta romantico della moglie che ha amato e perduto, facendo commuovere Gabriella e me, per poi perdersi fi no a tarda sera sulla Scala Fenicia; ricordo la Tartt e il suo quotidiano parrucchiere per mantenere impeccabile il suo caschetto e ricordo tutte le giornaliste impazzite per la bellezza algida di Knausgård. Ricordo, e ricorderò finché campo, Gabriella nella hall dell’Hotel Santa Lucia di Napoli che, con gli occhi sgranati, mi annuncia il ricovero per appendicite della Strout appena arrivata dagli Usa. Ricordo La Capria che, fi rmandomi una copia di Ferito a morte, libro del cuore di ogni età della mia vita, mi dice stupito: “Tu sì ’o sponsor? Mi aspettavo nu viecchio cumm’a me, tu sì nu guaglione!”. Chi te lo ha fatto fare, vi chiederete voi, e spesso me lo sono chiesto anche io. La vita già è diffi cile, i problemi non mancano, c’era bisogno del Malaparte? Ce n’era proprio bisogno, sì. Mi hanno cresciuto e formato con la convinzione che un’azienda non sia una generatrice di profitto per gli azionisti, ma debba necessariamente essere il fulcro di processi di sviluppo socio-economico per il territorio, per chi la vive, per chi le dedica impegno, tempo e passione. È solo questo che garantisce a un’impresa una sostenibilità nel tempo. Se questo si riesce a fare in un luogo che si ama e che genera opportunità per il business, ancora meglio.

Capri è un amore grande, dove sono cresciuto, dov’è cresciuto mio padre, dove abbiamo la fortuna di abitare uno dei pizzi più belli dell’isola, dove il nostro marchio fa bella mostra di sé praticamente in ogni punto di consumo, dove i nostr i prodotti vengono provati e conosciuti da un pubblico enorme e internazionale. Capri è anche un grande dolore, quando viene maltrattata e abusata da orde ignobili, che affollano i mari e le stradine con i loro rumori, i loro rifiuti, la loro maleducazione. Il Malaparte ci permette di restituire all’Isola un po’ della sua dignità, creando per un fi ne settimana un’atmosfera bella, di passione e di impegno, di amicizie più o meno antiche, di amore per i libri e di grande coinvolgimento di tutti i partecipanti. Un consesso allegro, aperto a tutti, dove tutti partecipano offrendo un po’ del proprio sostegno, sia esso un invito a cena o una foto scattata. Il calore con cui l’Isola ci accoglie è unico ed è il segnale che abbiamo fatto centro, siamo sulla buona strada. Ho potuto fare tutto questo perché ho alle spalle un’azienda sana, ed è alle persone di Ferrarelle che io dedico il Premio, ringraziandole ogni giorno per il loro eccellente lavoro. Ho potuto fare tutto questo perché ho in tasca dei valori forti, ed è alla mia famiglia che io dedico il Premio, ringraziandola ogni giorno per quanto mi hanno dato e continuano a darmi. Ho potuto fare tutto questo perché alla guida c’è una donna coraggiosa che ha raccolto l’eredità di un’altra donna mitica, ed è a Gabriella che dico grazie per avermi telefonato quel giorno di sei anni fa. Il Malaparte è un germoglio di grande qualità, e io, che nella vita so fare solo il mio mestiere di contadino della falda acquifera, sono felice di portare il mio sostegno per aiutare questo germoglio a crescere. L’acqua prende la forma del suo contenitore. Questa è la forma più bella. Ad maiora e viva Capri!